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Il Principe Cristiano

Il Principe Cristiano

Pedro Ortiz de Cisneros de Ribadeneyra

Della religione e delle virtù per ben governare

Un libro fondamentale per l’Uomo di Milizia

La politica moderna (figlia del machiavellismo) è segnata, come il luteranesimo, da un grave errore: la separazione o la confusione tra natura e Grazia, ragione e Fede, fine prossimo e Fine ultimo dello Stato.

L’inizio di questa separazione si ebbe quando alla società tradizionale – ordinata secondo le leggi del diritto Naturale, ontologicamente diretta a Dio attraverso l’Impero e la Chiesa – il Cinquecento oppose l’autonomia della politica, la ragion di Stato, la tecnocrazia delle banche che stritolano la libertà delle nazioni, l’agnosticismo. In sostanza le radici stesse dello Stato laico che oggi sta manifestando la sua ultima e peggiore facciata, poiché la casa costruita sulla sabbia (la nostra Europa) è destinata a crollare trascinandosi tutto dietro.

Il Principe Cristiano di Ribadeneyra rappresenta la risposta perentoria e definitiva, in sede di perfetta ortodossia cattolica e salda dottrina cristiana, a tutto ciò che di rovinoso ha prodotto questa involuzione, iniziata con la critica dell’unità dell’ordine fisico e metafisico come da perfetta visione del re, principe o condottiero tomista.

Come l’avvicinamento al Principe di Machiavelli costituisce la storia dello sfaldamento dell’unità concettuale e spirituale medievale, così l’approssimazione al Principe cristiano rappresenta la storia della ricostruzione dottrinale, operata in sede cattolica, delle norme del vivere civile.

Per Ribadeneyra esistono solamente due ragioni di Stato: una falsa ed apparente, un’altra solida e veritiera; una ingannevole e diabolica, l’altra certa e divina, una che dello Stato fa religione, l’altra che della religione fa Stato. Non esiste via di mezzo, come la verità è opposta interamente all’errore.

Il linguaggio adottato dal Ribadeneyra è degno di una vera e propria battaglia politico-religiosa, condotta dai forti e ascetici uomini tardo cinquecenteschi della Compagnia di Gesù. Per Ribadeneyra i «politici» sono una sorta di tecnocrati laici, tra di loro uniti da invisibili ma solidissimi lacci e tutti accomunati dall’unico desiderio di distruggere la Chiesa cattolica, principale ostacolo ai loro progetti. Costoro sono, per il gesuita spagnolo, peggiori degli eretici perché «questi, insieme alle eresie che lo stesso Satana ha sollevato, pur essendo tizzoni dell’inferno, professano un tipo di religione che tra i molti errori fa intravedere qualche verità, mentre i politici non hanno religione alcuna. Cosicché gli eretici distruggono una parte della religione, mentre i politici la distruggono tutta».

Il trattato è diviso in due parti: la prima riguarda ciò che devono fare i prìncipi con la religione, come tutori, difensori e figli della Chiesa. La seconda, quello che devono fare per la direzione politica e temporale dei propri regni e le vere perfette virtù delle quali, per bene amministrarli e conservarli, debbono essere adorni.

Molto importante sottolineare come la tradizione dottrinale cattolica è la misura di ogni problema affrontato dall’autore, e gli esempi portati a sostegno delle tesi dibattute provengono tutti dalla storia della cristianità o dalla Sacra Scrittura. Adducendo esempi di martiri e di cavalieri cristiani, il Ribadeneyra dimostra come i cristiani esercitano le virtù della mansuetudine e della umiltà per quanto riguarda la vita privata e quali freni degli istinti egoistici, ma diventano coraggiosi e valorosissimi quando si tratta di difendere la fede e la religione. Questa stessa confutazione verrà assunta dall’anti-machiavellismo gesuitico, specialmente quello ispanico, e la troveremo sostenuta con una vastissima messe di esempi in vari capitoli del libro di Ribadeneyra.

Ci troviamo in definitiva di fronte ad un trattato universale, ancora molto attuale, di Scienza Politica Cattolica, organizzato intorno alla ritrovata fede della Controriforma e reso appassionante dalla carica polemica del gesuitismo ispanico. Non solo quindi una confutazione antimachiavellica ed antilaica, ma un trattato vero e proprio di scienza politica che affronta con singolare lucidità gli infiniti aspetti morali e pratici della conduzione di un regno cristiano, avendo presente come immagine di principe cristiano quel principe tomista che lo scrivano fiorentino aveva tentato di sostituire con il suo pagano tiranno, perfetta figura del futuro anticristo così come quello del Ribadeneyra è perfetta figura di nostro Signore.

Il libro del Ribadeneyra – scrive don Curzio Nitoglia nella sua bella prefazione – aiuterà concretamente il lettore a far propri i princìpi della filosofia politica aristotelico/tomistica, della Seconda e Terza Scolastica e a disintossicarsi dal veleno del machiavellismo.

(416 pagine con bandelle, introduzione di don Curzio Nitoglia)

Edizioni EFFEDIEFFE

Pedro Ortiz de Cisneros de Ribadeneyra (1527-1611), è il nome di un rissoso giovane appartenente ad una illustre e decaduta famiglia di Toledo, città dalla quale si allontana in giovane età, giungendo a Roma nelle vesti di un indocile paggio spagnolo, agitato dalle turbolenze di un carattere particolarmente aggressivo.

Nell’estate del 1540, a Roma, fuggendo all’ultimo guaio compiuto, Pedro arriva alla casa dove sant’Ignazio stava organizzando il suo ordine.

Fu un incontro risolutivo: la personalità del santo lo affascinò a tal punto che decise di restare per sempre con lui.

Pedro entra nella Compagnia di Gesù il 18 settembre 1540, pochi giorni prima che l’ordine venisse riconosciuto ufficialmente.

Il 28 aprile 1542, dopo due anni passati vicino a Sant’Ignazio che lo volle proprio segretario, soprattutto per temperarne gli eccessi del carattere, il giovane fu inviato a completare gli studi a Parigi.

Sant’Ignazio, avendo compreso che la vera vocazione del giovane è senz’altro intellettuale, lo manda a Padova a terminare gli studi.

La notte di Natale del 1553 celebra, in Santa Maria Maggiore, la sua prima messa.

Il giovane turbolento si è trasformato in pio sacerdote ed in sapiente letterato, ma soprattutto nel confidente di Sant’Ignazio che gli affida degli incarichi sempre più importanti.

Col passare degli anni il Ribadeneyra si dedica quasi completamente agli studi teologici, alla polemica dottrinale, desideroso solo della sua quiete spirituale e di poter coltivare i suoi studi, che costituiscono la sua maniera di continuare a battersi per la fede e per la religione.

Torna così nel 1574 in Spagna e va a stabilirsi prima nella natale Toledo, poi a Madrid, dove risiederà per tutto il resto della sua vita.

A questo periodo appartengono le sue opere più importanti (compreso Il Principe cristiano) che vanno dalle biografie alla storia, dai trattati di ascetica a quelli di dottrina politica, dalla teologia alle polemiche in difesa del suo ordine, e che lo pongono di diritto tra gli autori classici della letteratura spagnola e tra i più validi ed ortodossi difensori della cristianità. Muore il 22 settembre 1611 nel generale rimpianto.

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