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Il suicidio geopolitico dell’Italia

Il suicidio geopolitico dell’Italia

Nel 1960 il Presidente della Repubblica italiana Giovanni Gronchi fu il primo capo di uno Stato occidentale a recarsi in visita ufficiale a Mosca.

Alessandro Di Battista

Parliamoci chiaro: l’Italia è irrilevante nella partita Russia-Ucraina.
I governi che si sono succeduti hanno inviato armi e denaro a Kiev non per scelta autonoma, non per una visione strategica, ma per fare ciò che Washington ha deciso.

Zero diplomazia, zero politica, solo servilismo. Eppure, l’Italia avrebbe potuto fare molto di più.

Avrebbe potuto giocare il ruolo diplomatico principale in virtù della sua storia.
I rapporti storici tra il nostro Paese e la Russia lo dimostrano. Durante la Guerra Fredda, siamo stati capaci di dialogare con entrambe le superpotenze, conquistandoci un ruolo di rispetto. L’Italia era un ponte.

Ebbene sì, il mondo era diviso in blocchi, l’Italia era sì ancorata al blocco occidentale (abbiamo perso la guerra, d’altronde), eppure politici, imprenditori e uomini di Stato italiani guardavano a est.

Nel 1960 il Presidente della Repubblica italiana Giovanni Gronchi fu il primo capo di uno Stato occidentale a recarsi in visita ufficiale a Mosca. Incontrò il segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Nikita Sergeevič Chruščëv, con il quale parlò di petrolio.

L’Italia, soprattutto grazie a Enrico Mattei, uno dei migliori italiani della storia repubblicana, portava avanti in URSS la cosiddetta “diplomazia del petrolio”: greggio degli Urali in Italia e petroliere costruite nei cantieri navali italiani in URSS.
E tutto questo andava avanti anche mentre Mosca iniziava a costruire il Muro di Berlino.

Chiaramente, l’intraprendenza di Mattei non era ben vista dalle parti di Washington e, non a caso, nel 1962 un attentato lo uccise.

Nell’agosto del 1966 (quattro anni dopo la crisi missilistica di Cuba), URSS e Fiat firmarono uno storico accordo.
La principale industria automobilistica italiana costruì un’immensa fabbrica di automobili a Togliattigrad, città russa che prese il nome dello storico segretario del PCI.
La AvtoVAZ (Volžskij avtomobil’nyj zavod, Fabbrica di auto del Volga) divenne il centro di produzione di vetture più grande di tutta l’Unione Sovietica e funzionò grazie alle tecnologie italiane, a macchinari italiani e grazie a centinaia di tecnici italiani.

Il tutto, ripeto, mentre gli Stati Uniti, i nostri principali alleati, combattevano contro l’URSS una guerra fredda senza esclusioni di colpi.

Nel 1970 Nikolaj Viktorovič Podgornyj, Presidente del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS, venne in Italia e, accompagnato da Andreotti, visitò lo stabilimento Fiat di Mirafiori.

Quella era l’Italia.

Ma oggi, quel ruolo è svanito.
Non è un caso se da Mosca ci considerano uno dei Paesi più ostili.
Il Ministro degli Esteri russo Lavrov è stato chiaro: “Le relazioni bilaterali stanno attraversando la crisi più profonda dalla Seconda Guerra Mondiale.”
E ha aggiunto: “Roma, con la sua posizione apertamente anti-russa, non è più idonea a partecipare al processo di pace in Ucraina”.

Gli storici legami politici ed economici tra i due Paesi? Azzerati.

E sapete chi paga il prezzo di tutto questo?
Gli italiani.

Le sanzioni, la riduzione degli acquisti di gas russo, l’allineamento cieco all’agenda statunitense: tutto questo ha conseguenze pesanti sulle nostre tasche.
Le bollette stanno salendo alle stelle.
Nel 2025, una famiglia media spenderà 2.044 euro per il gas, 251 euro in più rispetto al 2024.
E non è finita qui.

Pensiamo anche al turismo. Prima della guerra, i turisti russi spendevano in Italia 1,3 miliardi di euro all’anno. Oggi, quel flusso è crollato di oltre l’80%.

Per non parlare poi di tutta una serie di contratti bloccati.
La Russia si stava affidando a imprese italiane per la costruzione di immense infrastrutture nel Paese. Tutto questo non esiste più.

L’Italia, il Paese che i russi probabilmente amano di più al mondo, è visto, ahimè giustamente, come un protettorato USA.

Per colpa di svariati camerieri della NATO, l’Italia non ha solo perso il suo peso diplomatico.
Sta compiendo un suicidio geopolitico ed economico. E il prezzo lo pagheremo oggi, domani, e chissà per quanto tempo ancora.

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