«Imagine» (Immaginate) è un celebre brano del cantante britannico John Lennon, pubblicato l’11 ottobre 1971, che si erge come un inno seducente e musicale a una visione radicalmente trasformata dell’ordine mondiale.
Le note del pezzo, dolci e suggestive, celano al loro interno un messaggio che, seppur avvolto nella bellezza melodica, rivela un chiaro intento di sovversione delle tradizioni religiose consolidate.
Un vero inno globalista e un canto contro il Cattolicesimo e la Cristianità.
In questo nuovo ordine immaginato, le religioni tradizionali sono superate, cedendo il passo a una sorta di «super-religione», una visione utopica e uniforme.
In un nuovo globo senza frontiere, con una sola lingua e un unico pensiero (dominante, politicamente corretto e moralmente decadente!).
Tra i passaggi più emblematici del testo, si legge: «Immaginate che non ci sia alcun paradiso / Se ci provate è facile / Nessun inferno sotto di noi / Sopra di noi solo il cielo».
Queste parole, cariche di un messaggio chiaro, si pongono in aperto contrasto con i principi sacri della tradizione cristiana, negando l’esistenza di un aldilà diviso tra paradiso e inferno, due realtà ben radicate nella Sacra Scrittura.
La canzone di Lennon, dunque, sembra incitare a un’immaginazione che trascende la dottrina cristiana, mettendo in dubbio la veridicità delle verità rivelate nella Bibbia.
Se, infatti, il Paradiso e l’Inferno sono descritti dalla Scrittura come destinazioni ultimate per coloro che vivono nella fede o nel peccato, la proposta del brano nega proprio queste realtà eterne, mettendo in discussione le parole di Gesù stesso: «Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato» (Marco 16:15-16).
In definitiva, l’opera di Lennon, pur nella sua bellezza artistica, si configura come un tentativo di erodere le fondamenta della dottrina cristiana, sollecitando un’idea di mondo senza giustizia ultima, né redenzione.
Si tratta, per dirla con un antico adagio, di un «homo homini lupus», in cui ogni verità spirituale viene messa in discussione in nome di un’utopia terrena priva di fondamenti trascendenti.
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