La Redazione
Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca un clima plumbeo di imminente apocalisse si è insediato tra la classe politica, gli intellettuali, i media europei: quelli di sinistra, di destra ma anche molti sedicenti “liberali”.
Il presidente statunitense è stato dipinto come portatore di ogni peggiore catastrofe immaginabile.
Nemico dei “diritti”, in quanto ha osato sfidare l’egemonia ideologica woke che prima nella propaganda occidentale a reti unificate trionfava indisturbata.
Nemico dei poveri del mondo, in quanto ha tagliato i fondi dell’USAID, che, con l’alibi degli aiuti ai paesi in difficoltà, finanziavano a piene mani il suddetto indottrinamento a senso unico.
Nemico delle “magnifiche e progressive” sorti dei mercati globali per aver usato l’arma dei dazi assai più largamente usata però da europei e cinesi contro gli Stati Uniti.
E via dicendo.
Ma il peccato imperdonabile del tycoon newyorkese, quello che lo ha fatto additare letteralmente come un pericolo pubblico ai quattro angoli del vecchio continente, è stato quello di avviare trattative con la Russia per porre fine alla guerra russo-ucraina che si trascina da più di tre anni, e ha provocato forse più di un milione di vittime; e quello di farlo anche a dispetto della volontà del presidente ucraino Zelensky di continuare il conflitto ad oltranza, nonostante egli debba soltanto al sostegno americano il fatto che l’Ucraina oggi non sia stata annessa da Mosca ed esista ancora.
Proprio questa determinazione del presidente statunitense a trovare ad ogni costo un accordo di pace ha gettato le élites globaliste europee in una crisi di nervi quotidiana fuori controllo, provocando le risposte più scomposte e improbabili.
Come il comico piano “Rearm Europe” di Usrula von der Leyen (un progetto di soli debiti a carico degli stati), le grottesche pretese di Emmanuel Macron di fare da guida e “ombrello nucleare” del continente in condizioni di disparità drammatiche rispetto a Russia e Stati Uniti; le rinnovate spinte a una difesa comune dell’Ue, senza uno straccio di tessuto istituzionale federale comune né controllo dal basso.
Ora, è evidente come queste “piazzate” plateali, dietro la retorica copertura della volontà di difendere la libertà e la democrazia da una del tutto ipotetica minaccia di Putin a tutto il continente, siano espressione, da un lato, di acuta frustrazione psicologica per l’assoluta irrilevanza globale delle classi politiche europee; dall’altro, di motivazioni utilitaristiche di “bassa cucina”: come l’aspirazione a “rianimare” le industrie tedesche ammazzate dal green deal attraverso la loro riconversione nella produzione di armamenti, pagati con i soldi dei partner Ue; o il tentativo di Macron di attrarre quegli stessi soldi per finanziare il riarmo francese, assicurandogli nel continente una leadership che ormai in patria nessuno gli riconosce, e che mantiene solo attraverso spericolate manovre di palazzo.
Ma l’aspetto che colpisce di più, in queste reazioni pirotecniche, è l’ennesimo, disinvolto ricorso a una demonizzazione degli Stati Uniti che storicamente viene attivata in Europa “a comando” quando serve, appunto, agli scopi politici più disparati o ai miti ideologici dominanti: e cioè, guarda caso, sempre quando negli Stati Uniti è al potere un presidente che sta attuando una rivoluzione economica e sociale , quindi estraneo a quell’establishment politico, economico-finanziario, culturale d’Oltreoceano che invece intrattiene rapporti organici e costanti, per non dire di controllo, sulle élite globalista del vecchio continente.
Non passa inosservato il quasi unanime applauso pacifista e “pacioccone” europeo regolarmente tributato ad ogni presidente “amico” che si è tramutato rapidamente in un altrettanto quasi unanime applauso a Joe Biden per la sua linea bellicista e il suo “muro contro muro” contro Putin, che ha gettato benzina sul fuoco di un conflitto che Kiev non poteva vincere, anziché favorire tentativi di risolverlo.
E, dopo anni di furia guerresca, quell’ applauso diventa oggi, per converso, il vituperio sdegnato contro il presidente “nemico” in quanto pronto a tagliare via i tentacoli globalisti, “colpevole” di voler raggiungere una pace e una sicurezza comune della quale l’Europa avrebbe in verità un enorme bisogno.
Ma al cuore della partigianeria e del pregiudizio, si sa, non si comanda.
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