Volentieri presentiamo ai lettori La bellezza armata. Vir Pugnator: per un Medioevo del III millennio di Francesco Avanzini, con prefazione di Roberto Marchesini e postfazione di don Paolo Crescini.
Di seguito alcuni gustosi estratti.
Il titolo del presente lavoro dell’amico Francesco Avanzini è La bellezza armata.
Il nostro spirito moderno si ribella: che c’è di bello nelle armi? Le armi significano lotta, morte, paura, ferite, dolore; e ancora piscio, sangue e merda, droga e alcol, lamenti che poco hanno di bello e di cavalleresco. Noi associamo le armi a quanto di più ripugnante esiste al mondo. Come possono dunque stare, nella stessa frase, la bellezza e le armi?
Basta considerare che esistono due tipi di bellezza. C’è la bellezza moderna, semplicemente uno stimolo emotivo alle passioni più gradite: la lussuria, la mollizia, il piacere sensuale.
È la bellezza del romanticismo, del sublime, la bellezza estetica, quella che solletica ed eccita i nostri sensi. E poi c’è un’altra bellezza, la bellezza classica, che rimanda a come le cose dovrebbero essere.
La bellezza come compimento, realizzazione, come assenza di accidenti terreni.
La bellezza che fa trasparire, squarciando il velo della mediocrità quotidiana, come il mondo dovrebbe essere, come gli uomini e le donne dovrebbero essere; ma non sono.
È una bellezza che non c’è, ma che dovrebbe essere.
E potrebbe, se noi fossimo quello che dovremmo.
Il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976), tra le molte cose non condivisibili, ne scrisse una totalmente apprezzabile, forse un rigurgito della sua antica fede cattolica poi rinnegata: ci sono due tipi di esistenza, quella in-autentica (non autentica) e quella autentica.
Quella inautentica è l’esistenza secondo il «si» impersonale: si pensa, si dice, si fa… È il conformarsi alla mentalità del mondo (Rm 12, 2), l’adeguarsi, il «quieto vivere».
E poi c’è l’esistenza autentica, che il filosofo tedesco chiama «essere-per-la-morte». Che è esattamente ciò che la Chiesa ha insegnato per secoli: il memento mori, l’apparecchio alla morte.
La vita ha senso solo guardando la morte, l’orizzonte ultimo, il gran salto. In questo senso – e solo in questo senso – la battaglia può essere bella.
La vita può essere bella, perché militia est vita hominis super terram, la vita dell’uomo sulla terra è una battaglia, dice Giobbe (Gb 7, 1).
Essa è bella perché è una prova, è la prova per eccellenza: l’unica prova che valga la pena di essere affrontata. (dalla prefazione di R. Marchesini)
La bellezza che salverà il mondo – per citare Dostoevskij – è Dio stesso, e più specificamente la liturgia e la S. Messa nella loro forma perenne.
Il brutto che avanza, ormai senza sosta dal XIX secolo in poi e che oggi assume dimensioni apicali, anche in abito ecclesiale, è un’arma infernale, uno strumento che il nemico di Dio mette in campo per aggredire ed erodere la sensibilità dell’uomo per l’aldilà e soprattutto per sconquassare e se possibile annientare il Cattolicesimo nella sua bellezza e verità.
Ecco perché l’amore per la bellezza della liturgia, la passione per Gesù Cristo, che è «il più bello tra i figli di Adamo» (Sal 44,3), non può non assumere anche un atteggiamento di lotta teorica e pratica a sua difesa. (dalla postfazione di don P. Crescini)
(La bellezza armata. Vir Pugnator: per un Medioevo del III millennio)
INDICE:
Esergo p. 9
Prefazione di Roberto Marchesini p. 11
Introduzione p. 15
Capitolo I – Il cavaliere, il maschio e l’eroe
cristiano p. 21
Capitolo II – La guerra del cristiano p. 43
Capitolo III – Vergini, sante e regine guerriere p. 69
Capitolo IV – La bellezza armata p. 89
Epilogo – Per un evo cristiano
del terzo millennio p. 109
Appendice I p. 119
Appendice II p. 127
Appendice III di don Paolo Crescini p. 129
Bibliografia p. 133
Sitografia p. 137
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