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LA RIVISTA “GRAND HOTEL” E I SETTIMANALI DI FOTOROMANZI NELLA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA NAZIONALE E POPOLARE IN ITALIA

LA RIVISTA “GRAND HOTEL” E I SETTIMANALI DI FOTOROMANZI NELLA FORMAZIONE DELLA COSCIENZA NAZIONALE E POPOLARE IN ITALIA

Morando Morandini

Milano 1945: nei giorni convulsi della Liberazione i fratelli Del Duca, piccoli editori di origine marchigiana, avviano un progetto editoriale innovativo e originale: un settimanale di storie d’amore disegnate a fumetti per un pubblico popolare poco avvezzo alla lettura, soprattutto giovane e femminile; un giornale dal formato maneggevole che doveva costare meno di un quotidiano.
Lo chiamano Grand Hotel, come un film del ’32 con Greta Garbo che ha fatto sognare gli italiani.
I fratelli Del Duca, da sempre antifascisti, propongono il loro nuovo progetto al PCI, che però non si mostra interessato a questo genere di prodotto editoriale. Così fanno tutto da soli.
Le prime centomila copie del primo numero di Grand Hotel vanno a ruba e il giornale viene ristampato ben quattordici volte. Il giornale aveva solo 16 pagine perché la carta era razionata.
Da quel 12 aprile 1946, per decenni, Grand Hotel ha venduto più di un milione di copie a settimana e si calcola che ogni copia passasse di mano in mano almeno 4 o 5 volte.
La diffusione del giornale era maggiore al nord e nelle zone industrializzate. Operai e operaie rappresentavano quasi il 60% dei lettori di Grand Hotel; molti lo compravano insieme a l’Unità o all’Avanti e più di un quarto dei lettori abituali erano uomini.
Emerge in quegli anni il ruolo sociale del fotoromanzo nel vissuto del suo pubblico, così come è ben evidenziato nelle rubriche di POSTA DEI LETTORI ideate da Grand Hotel.
I temi ricorrenti nelle lettere diventano spunto per trame di nuovi fotoromanzi, secondo una logica propria della letteratura popolare, che si è sempre ispirata all’attualità del giorno.
Attraverso questo stretto rapporto tra lettrici e giornale, il fotoromanzo diventa un sismografo sociale sia a livello microstorico che macrostorico, dando testimonianza alle mutazioni sociali che ne accompagnano l’evoluzione nei decenni della sua esistenza.
Nel 1959 esce un libro di Gabriella Parca che fece clamore, Le italiane si confessano (con prefazione di Zavattini prima e di Pasolini poi) che analizza il contenuto delle lettere inviate ai settimanali di fotoromanzi. Il ritratto della donna italiana che emerge è completamente diverso da quello che all’epoca si poteva immaginare, ma i suoi elementi già emergevano all’interno delle storie melodrammatiche dei fotoromanzi.
Nel mondo della comunicazione di massa prima dell’affermazione della televisione, il fotoromanzo svolge una funzione fabulatoria e pedagogica seconda solo a quella del cinema: da un lato stimola il desiderio di sogno ed evasione del popolo italiano stremato dalla guerra, dall’altro diffonde tra le masse femminili prevalentemente poco istruite un’educazione sentimentale.
Le storie d’amore abbozzano nuovi rapporti tra uomini e donne dando uno spazio più grande all’uguaglianza tra i partner. È anche leggendo fotoromanzi che operaie, contadine e casalinghe italiane imparano a difendersi dagli uomini volgari e da quelli violenti, che siano padri, fratelli, mariti o amanti. Acquisiscono dai fotoromanzi una crescente consapevolezza dei propri diritti e delle esigenze da far valere. Non solo quella di coltivare la propria immagine, quindi la bellezza, la salute, la forma fisica; ma anche il diritto all’istruzione, all’informazione, alla conoscenza di mondi diversi dal proprio, e il diritto di amare ed essere amate, considerate e rispettate.
I fotoromanzi colgono e trasmettono alle lettrici i segni del cambiamento sociale (ad es. il serial fotoromanzo di Gran Hotel del 1968 “I DIVORZIATI” con Alberto Lupo), seguono e a volte anticipano quel senso comune “progressista” in cui si riconosce gran parte del popolo italiano nei quattro decenni successivi all’ultima guerra.
Ma dagli anni 90, quando il senso comune comincia a stemperarsi in tanti rivoli, i fotoromanzi se ne distaccano gradualmente, rimanendo legati al valore della famiglia (da quella nucleare a quella allargata; si valorizzano anche diverse tipologie di famiglia) come ultimo presidio sociale, affettivo e solidale in una società più frantumata, che tende alla liquefazione dei legami familiari anziché al loro consolidamento, stimolando l’individualismo competitivo che divide le persone anziché unirle su progetti comuni.
Ai fotoromanzi degli ultimi vent’anni capita spesso di deragliare dai binari del “politicamente corretto” per tornare a visioni più umanistiche e tradizionali delle relazioni umane e dei sentimenti che le attraversano, rimanendo però sempre aderenti alla realtà contemporanea.
Che storie raccontano i fotoromanzi negli ultimi 20 anni? Porto due esempi, da Grand Hotel:
Una storia del 2005 dove un agricoltore uccide con una fucilata un ladro che gli stava rubando un cavallo e da principio si sente nel giusto sorretto da una parte dell’opinione pubblica, quella giustizialista e forcaiola; poi però arriva il rimorso, il pentimento e l’innamoramento per la figlia della vittima che non vuole perdonarlo, ma alla fine ci riesce.
Una storia del 2016 sulla maternità surrogata in una clinica specializzata in Ucraina, dove una coppia benestante italiana (lui ingegnere ambientale, lei CEO di un’azienda green) sceglie su un catalogo una ragazza sfollata da un villaggio del Donbass, costretta dalla necessità a essere gestante a pagamento, che però alla fine decide di tenersi il figlio e anche l’uomo della coppia, che si è innamorato di lei e decide di rimanere con lei, che torna col figlio appena nato nella sua terra.
L’apparizione e la rapida diffusione delle tv commerciali segnerà un arresto nella storia del fotoromanzo, che entrerà in una lenta fase di declino. Il ruolo ricoperto dal genere sarà ripreso dai nuovi formati televisivi, dalla soap alla telenovela.
Nel corso degli anni Zero del nuovo millennio chiudono uno dopo l’altro i giornali dei fotoromanzi. I fotoromanzi oggi sopravvivono solo sulle pagine di Grand Hotel: il primo a nascere sarà l’ultimo a morire perché anche lui se ha il destino segnato, come tutta la carta stampata.
Anche l’aumento costante del prezzo della carta, dovuto alla crisi energetica e alle politiche green, che per salvare le foreste sacrificano le cartiere, ha accelerato la crisi dei fotoromanzi.

Da quest’ultimo dato parte la mia ultima considerazione. La cultura come la conosciamo ci è stata trasmessa di generazione in generazione per mezzo della voce e della parola scritta: sulla pietra, sui rotoli di papiro, sulle pergamene di pelle animale e infine sulla carta, questo prezioso e duttile materiale inventato dai cinesi e arrivato in Europa attraverso il mondo arabo nel decimo secolo dopo Cristo. La prima cartiera italiana è nata a Fabriano nel dodicesimo secolo. Pochi giorni fa, il 15 dicembre del 2024, l’ultima cartiera di Fabriano, quella dei nostri album da disegno scolastici, ha cessato per sempre l’attività. Dopo quasi mille anni a Fabriano non si produce più carta.
Quando nel mondo non si produrrà più carta, io credo che finirà la cultura come l’abbiamo conosciuta. Allora spero che torneranno a farsi sentire le voci dei narratori orali per informare, diffondere idee, sollevare dubbi e tramandare le storie, le cronache e le leggende che costituiscono il sale e il fondamento di ogni cultura dell’umanità.

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