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Muro di omertà

Per la Cia è “probabile” che il Covid-19 sia fuggito da un laboratorio

Stefano Magni

La Cia cambia idea e, dopo anni in cui non si era espressa sull’origine del Covid-19, ora ammette che potrebbe essere prodotto da una fuga dal laboratorio di Wuhan.

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Vita e bioetica 27_01_2025
Wuhan, ai tempi della prima ondata di Covid-19 (La Presse)
Dopo quattro anni di indecisione, la Cia annuncia: il Covid-19 è “probabilmente” prodotto di una fuga da laboratorio. La pandemia, dunque, sarebbe iniziata da un incidente nell’Istituto di Virologia di Wuhan. Il condizionale è d’obbligo, perché nel suo rapporto il livello di precisione della stima è ancora “low confidence”, cioè bassa affidabilità delle fonti di intelligence. Ma si tratta comunque di un cambiamento importante perché la comunità di intelligence è tuttora divisa sulle conclusioni delle indagini sulle origini del virus. E la Cia, la più prestigiosa delle agenzie di intelligence Usa, si era finora rifiutata di trarre conclusioni. Al di fuori di questa comunità, l’Fbi (dunque la polizia federale) si era dimostrata la più incline, finora, a considerare l’inizio della pandemia come frutto di un incidente. Mentre, subito dopo, nel febbraio 2023, anche il Dipartimento dell’Energia (che controlla i laboratori di massima sicurezza) si era espresso a favore di questa tesi, pur con maggiori riserve rispetto all’Fbi.

La Cia, con la pubblicazione del nuovo rapporto, sabato: «valuta, con bassa affidabilità, che un’origine legata alla ricerca della pandemia Covid-19 sia più probabile di un’origine naturale sulla base delle informazioni disponibili», come dichiara un portavoce. La Cia ritiene comunque che «sia gli scenari legati alla ricerca che quelli di origine naturale della pandemia Covid-19 rimangono plausibili». Quindi, non è possibile alcuna conclusione certa, nemmeno a cinque anni di distanza dai fatti e l’agenzia di intelligence dichiara che continuerà a valutare «qualsiasi nuovo rapporto di intelligence credibile o informazione pubblica disponibile che potrebbe modificare la valutazione della Cia».

La “bassa affidabilità” è dovuta soprattutto alla mancanza di collaborazione della Cina. Che tuttora protesta contro la “politicizzazione” del nuovo, pur prudente, rapporto di intelligence americano. Pechino, per anni, ha impedito ogni ispezione al sito di Wuhan, il ground zero della pandemia. Non ha fornito prove, nega ogni origine umana del virus. Il nuovo direttore della Cia, fresco di nomina, John Ratcliffe, è convinto da tempi non sospetti che il regime cinese ci stia nascondendo la verità e ha promesso di riprendere l’indagine “dal giorno uno” della sua direzione. In un’intervista rilasciata a Breitbart, venerdì 24 gennaio, affermava: «Uno degli argomenti di cui ho parlato molto (nell’audizione al Congresso, per la sua nomina, ndr) è quello di affrontare la minaccia della Cina su diversi fronti, e questo si ricollega al motivo per cui un milione di americani sono morti e al motivo per cui la Central Intelligence Agency è rimasta in disparte per cinque anni senza fare una valutazione sulle origini del Covid».

Tuttavia, anche se Ratcliffe ha sicuramente ordinato la pubblicazione del rapporto, non è lui quello che ha ordinato la sua stesura, né l’indagine che c’è dietro. Già negli ultimi mesi dell’amministrazione Biden e dunque della direzione William Burns della Cia, le indagini erano riprese. Jake Sullivan, il Consigliere per la sicurezza nazionale di Biden aveva chiesto di riunire un comitato di esperti per rivalutare le analisi di intelligence sull’origine della pandemia. Il nuovo rapporto Cia era stato pubblicato, solo per uso interno, prima dell’arrivo del nuovo direttore. Si tratterebbe di un’analisi che si basa su nuove stime, ma non nuove prove. Di qui la classificazione “bassa affidabilità”. Questo vuol dire, però, che il grosso del lavoro inizia ora, stando a quel che ha dichiarato il nuovo direttore nominato da Trump.

Il problema principale sarà far piazza pulita di tutti i pregiudizi politici che si sono accumulati su questo importante dossier. Prima di tutto è bene ricordare che la pandemia, scoppiata a Wuhan nel dicembre (ma forse già a ottobre) del 2019, ha coinvolto il resto del mondo, e gli Usa, quando Trump era in carica e cercava di essere rieletto. In un anno elettorale, la verità è la prima vittima e l’indagine sull’origine del nuovo virus non fa eccezione. I media, soprattutto, hanno fatto di tutto per dare torto all’amministrazione Trump che subito aveva puntato il dito contro la Cina.

Anthony Fauci, nel gennaio 2024, nell’interrogazione a porte chiuse della Camera del Congresso Usa, aveva già riconosciuto che l’ipotesi della fuga dal laboratorio del Wuhan Institute of Virology non fosse campata per aria. Eppure nel 2020 la considerava come una teoria cospirativa.

Fino all’anno scorso, aveva fatto testo soprattutto l’articolo The proximal origin of SARS-CoV-2 pubblicato su Nature, il 17 marzo 2020. L’articolo, che in realtà è una lettera al direttore della rivista scientifica degli scienziati Kristian G. Andersen, Andrew Rambaut, W. Ian Lipkin, Edward C. Holmes e Robert F. Garry, ha screditato la teoria della fuga del virus da un laboratorio, affermando che fosse chiaramente opera della natura. Un virus che si era evoluto fino a contagiare l’uomo, partendo da un pipistrello e passando attraverso un animale intermedio, probabilmente un pangolino. La lettera era stata voluta da Fauci, anche se questi non ci aveva messo la faccia. Nelle settimane precedenti la pubblicazione, gli autori avevano tenuto una serie di teleconferenze con il consulente sanitario dell’amministrazione e con Francis Collins, allora direttore del National Institute of Health.

Eppure, già in quei primi mesi di pandemia, nell’amministrazione Trump, l’allora segretario di Stato Mike Pompeo, basandosi su fonti di intelligence dei Five Eyes (i servizi segreti anglofoni del Pacifico: Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito) aveva valutato come probabile la tesi della fuga da un laboratorio.

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